La vita di chi resta, il nuovo romanzo di Matteo B.Bianchi, esce oggi per Mondadori, e sebbene ci abbia messo meno di un giorno a leggerlo, so che risuonerà a lungo. Dopo vent'anni Matteo B.Bianchi racconta la storia di S., il suo compagno che nel '98 si è tolto la vita, dopo sette anni di relazione. È stato lui, Matteo, il primo a scoprire il suo corpo - anche se poi al funerale si trovava quasi in fondo, lontano dalla famiglia, perché si sa che certi amori faticano più di altri a trovare cittadinanza nelle istituzioni. A dirla tutta, i due si erano lasciati. Da poco, giusto qualche settimana. Stavano attraversando quel momento straziante in cui lo stomaco si chiude e ogni parola diventa una recriminazione. Si erano lasciati e S. l'aveva detto, "non ce la faccio più". Matteo si era spaventato, aveva cercato aiuto. "Ma cosa vuoi che sia", gli avevano detto, "lo fa per attirare l'attenzione". E invece.
È un romanzo frammentato, questo, come la vita di chi resta e sopravvive. Matteo B.Bianchi, scrive, ha cominciato a pensare a questo libro molti anni fa, e si capisce da subito perché è un romanzo che scorre via alla perfezione, dove tutto si lega e si incastra perché tutto è stato pensato, rivissuto centinaia di volte. Dove una pagina dopo l'altra le parole si affinano e diventano perfette, il respiro si allarga, si fa strada e ruba spazio a tutto quel buio e a quel silenzio.