Immaginatevi di stare ascoltando la vostra canzone preferita. La melodia si muove dai timpani al cuore, vi accarezza, vi consola. Vi dà ciò che solo la musica è in grado di dare agli uomini.
Improvvisamente, meravigliosamente, le note cominciano a farsi tangibili, prendono forma e colore. Con stupore vi accorgete che stanno diventano materia vivente: si dispongono in una forma nuova. Prendono a respirare. Vorticano ancora un po’. Ecco, ora si fermano, hanno finito: al loro posto, una donna, quella che avreste sempre voluto incontrare.
A questa genesi miracolosa assiste Colin, giovane e facoltoso parigino, protagonista de La schiuma dei giorni di Boris Vian, pubblicato nel ‘47: invitato ad una raffinata festa a casa di amici, vi incontra la bella e spigliata Chloé, incarnazione dell’omonimo brano di Duke Ellington. I due s’innamorano, si sposano; eppure il loro felice matrimonio è presto minacciato da una rara malattia di lei e da una graduale dilapidazione del patrimonio di lui.
Se la storia è tutto sommato canonica, nulla potrebbe esserlo meno del setting: Colin, Chloé e i loro stravaganti amici si muovono in una Parigi surreale, sognante, popolata da buffe parodie di filosofi e di medici; si dedicano allo sbircia-sbircia (fantasiosa variante del boogie-woogie), alla realizzazione di ricette impossibili, alla frequentazione delle affollatissime conferenze di Jean-Sol Partre.
I giochi di parole, pensati nel francese frizzante e pirotecnico di Vian, rendono bene anche nella traduzione di Gianni Turchetta e impreziosiscono un romanzo dolcissimo, ricco di trovate originali e divertenti; che l’andamento buffo dello stile si sposi così efficacemente con una vicenda dalle tinte sempre più nostalgiche è forse l’aspetto più riuscito del libro. La Schiuma dei giorni fa ridere davvero e fa piangere davvero; è il salato e il dolce che si esaltano tra loro, è la lacrima che suggella il bacio più tenero.
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