Esce nel 1964 e vince Campiello e Viareggio, riscuotendo un enorme successo di critica: è Il male oscuro di Giuseppe Berto, un vero e proprio capolavoro della narrativa italiana del secondo Novecento, a lungo dimenticato. Come scrive Emanuele Trevi nella prefazione all’edizione Neri Pozza, ll male oscuro è «lo specchio, frantumato ma straordinariamente nitido, di un intero mondo, di un’epoca storica».
Riassumere la trama è quasi impossibile, e qualunque cosa si possa dire pare riduttiva, perché Il male oscuro racconta un decennio di vita vissuto dall’interno, ma vissuto per davvero. Il romanzo ha inizio con la morte del padre, che segna il momento di crisi del protagonista e voce narrante. Alternando sempre passato e presente con frequenti flashback, prosegue poi col racconto del matrimonio e della nascita della figlia Augusta, narra gli smodati sogni di gloria e successo che attanagliano il protagonista, le insicurezze, i sensi di colpa opprimenti, il malessere fisico così difficile da comprendere che perdura e sempre ritorna, e restituisce le sue nevrosi e i suoi attacchi di panico che si fanno di carta e inchiostro.
Lo stile è torrenziale, senza freni, aperto e libero come una seduta sul lettino dello psicanalista. La voce di Berto è ora ironica e scanzonata, ora dolorosa e senza scampo, in ogni caso impossibile da abbandonare. Se qualcuno vi dice che Il male oscuro è un libro pesante, non credetegli, e passate in libreria ad acquistarne una copia.
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